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In memoria di mons. Medový  

Di Monsignor Marco Gandolfo
(Parroco di san Giovanni Maria Vianney a Roma)

Tratto dal libro: "JOZEF MEDOVÝ Un voto d’amore per amore degli altri"

di Roberto Serafini - Ed. Youcanprint 2012

Ho conosciuto don Giuseppe durante il suo ministero di parroco a Marina di Cerveteri. All’età di sedici anni, anche durante il tempo delle vacanze estive,

partecipavo alla Santa Messa tutti i giorni.

Ero solito andare nella parrocchia di San Francesco almeno mezz’ora prima dell’orario della celebrazione per pregare. Uno, due, tre giorni, fino a quando quel sacerdote simpatico e carico di umanità si avvicinò a me per chiedermi come mi chiamavo e da dove provenivo. Spiegai che ero un giovane romano, che frequentavo il liceo classico, e che ero lì  in vacanza con la mia famiglia. 
Il primo nostro parlare fu a proposito di liturgia: ero molto rivolto, a quel tempo come oggi, su questo tema. Era uscita da soli tre anni la seconda edizione del Messale romano e da parte di nessun sacerdote avevo notato una cosa che tenevo a cuore: l’utilizzo dei molteplici testi che erano stati inseriti rispetto alla sua precedente edizione. Don Giuseppe li utilizzava tutti, e questo, in me ancora adolescente, aveva suscitato una forma di stima molto forte pur senza conoscere quel sacerdote direttamente. 
Mi chiese presto di conoscere la mia famiglia e appena ebbe un invito a cena non esitò ad accettarlo. Venne, conobbe la mia famiglia e subito partì il dialogo affettivo, a tal punto che anche durante l’inverno in quegli anni veniva sovente a trovarmi nella nostra abitazione romana. Aveva una capacità straordinaria di entrare in relazione; non faceva semplicemente il simpatico ma era straordinariamente simpatico, con quella capacità di raccontare, sdrammatizzare e interpretare le situazioni che esercitavano su un adolescente come me un fascino indimenticabile. 
Raccontava la sua vita alla luce della vocazione al sacerdozio. Emergeva con assoluta chiarezza che pur di seguire il Signore aveva abbandonato o meglio rinunciato agli affetti familiari in quanto la situazione politica del suo paese non gli concedeva di tornare nella sua patria. 

Quando decisi di dar seguito alla vocazione sacerdotale, gliene parlai. Eravamo in casa sua, nello


 

studio, con tanta luce. Mentre parlavo, don Giuseppe ascoltava, e al termine dell’incontro non disse nulla che riguardava quanto gli avevo appena comunicato. Mi parlò della vocazione sacerdotale per dirmi che seguire il Signore significa solo corrispondere alla chiamata divina; ciò non comporta l’essere adeguati o meno, ma unicamente rispondere perchè quando il Signore chiama vale la pena seguirlo. 

Mi chiamava “Marchetto”, perchè nella comunità parrocchiale di Cerenova c’erano altri ragazzi con il nome Marco. Ma don Giuseppe sempre sapeva personalizzare affinchè nessuno si sentisse uguale all’altro! 
Quanto don Giuseppe insegnava con le parole, era testimoniato con la vita. La sua personalità sacerdotale e l’umanità solida che questa vocazione richiede era costantemente testimoniata dalla sua fedeltà alle persone. Don Giuseppe non dimenticava mai nessuno: nessuno di quelli che aveva avuto come compagni di viaggio nel passato e nessuno di quelli del presente. Era continuamente disponibile, ogni volta che il campanello della canonica suonava per qualche esigenza di qualche parrocchiano. Amava la comunità e la preghiera. Non posso togliere dalla memoria l’immagine di don Giuseppe, che al mattino presto era seduto sulla sedia del soggiorno con davanti il libro della liturgia delle Ore. Mi faceva venire in mente Gesù: al mattino presto si alzava per stare con il Padre. Don Giuseppe faceva proprio così; la preghiera rappresentava il suo incontro con Cristo, a cui portava la vita delle persone che il Signore stesso gli affidava. Questa strategia la considerava vincente, forte delle parole di Gesù che nella preghiera sacerdotale riportata dall’evangelista Giovanni dice: “Prego per loro... perchè l’amore con il quale li hai amati sia in essi...”. Questo affidarsi e affidare tutti lo aveva educato a non agitarsi, ma a tenere sempre sotto controllo le sue parole e i suoi atteggiamenti. Un’esemplarità di reazione che lasciava stupito chi, come me, lo osservava. Un’esemplarità che lo rendeva ancor di più amabile da renderlo punto fondamentale di riferimento! Ricordo il mio ingresso in Seminario il 17 settembre 1989:

 

voleva rendersi presente in ognuno di quei giorni di esperienza vocazionale messa 
alla prova, e allora decise di farmi un dono: i quattro volumi della liturgia delle Ore. 
Ogni volta che guardo i testi, con cui tutt’oggi quattro volte al giorno prego, il ricordo va a don Giuseppe, un uomo che ha lasciato un segno, che oserei definire umano e soprannaturale. In don Giuseppe non era possibile distinguere solo l’umanità o solo la spiritualità: i due elementi erano sempre ben armonizzati. 

Un ricordo ancora: la sua pazienza. Spesso da giovane o da seminarista gli prospettavo un’organizzazione liturgica ideale ma non adatta all’ambiente di Marina di Cerveteri. Mi ascoltava, e sorrideva quando vedeva lo zelo di un giovane inesperto; poi però con semplicità, serietà e carità mi prendeva idealmente per mano per farmi comprendere pazientemente non il meglio ma il giusto. Il meglio lo sanno distinguere tutti, mentre il giusto è più difficile da discernere.
Una domenica sera di agosto, durante la Messa vespertina, i fedeli erano davvero tanti, in chiesa e fuori! Era solo, con me che avevo poco più di sedici anni che facevo il servizio di ministrante. Dopo il segno della pace, mi chiese:“Puoi aiutarmi a distribuire la Santa Comunione, visto che ci sono quasi 1000 persone?” 
Rimasi meravigliato nel senso più positivo del termine; in realtà quando vedevo i ministri straordinari che distribuivano in quelle grandi assemblee estive la Comunione, ero sempre lì a desiderare di diventare grande per poter un giorno fare anche io quel servizio. Tramite don Giuseppe, che mi leggeva ormai nel cuore, il Signore esaudì quel desiderio. Fu un momento che non dimenticherò mai, e che ha dato un fortissimo impulso alla scelta vocazionale del sacerdozio. 
Mi sentivo, ieri come oggi, il giovane Samuele, che nel tempio, guidato dal sacerdote Eli, cercava il Signore; ma era necessario che chi nella fede aveva già sentito la voce del Signore, mi aiutasse a decifrarla. Don Giuseppe è stato questo per me! Dal cielo continua a suggerirmi di rispondere al Signore che chiama: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”.

str. gandolfo (SK)

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