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Omelia per il 40° anniversario di

sacerdozio di monsignor Medový

Di Monsignor Dominik Hrušovský 

(Arcivescovo titolare di Tubia, Nunzio Apostolico emerito di Bielorussia)

Tratto dal libro: "JOZEF MEDOVÝ Un voto d’amore per amore degli altri" di Roberto Serafini - Ed. Youcanprint 2012

Eccellenza (rivolgendosi al vescovo diocesano mons. Diego Bona), carissimo don Giuseppe, cari confratelli nel servizio sacerdotale, cari fratelli

e sorelle. Era il 23 dicembre dell’Anno Santo 1950, alle otto del mattino, dalla sacrestia della Basilica di San Giovanni in Laterano, usciva un lungo corteo verso l’altare nell’abside della basilica.

Inizialmente c’erano i candidati alla prima tonsura, poi i candidati al lettorato, esorcistato, accolitato, cioè tutti gli ordini minori come si celebrava allora; poi i candidati al suddiaconato, al diaconato e alla fine i candidati al sacerdozio, che in quel giorno erano ventiquattro. Alla chiusura del corteo, l’allora Arcivescovo vice gerente di Roma Luigi Traglia, successivamente diventato cardinale e vicario del Papa per la Diocesi di Roma. Fra quei ventiquattro c’era don Giuseppe e c’era anche il vescovo che vi parla, perché noi siamo entrati insieme al seminario di Bratislava il 20 settembre 1945 e poi, inviati dal vescovo agli studi a Roma, abbiamo continuato insieme e siamo stati ordinati sacerdoti lo stesso giorno. Noi dalla Slovacchia eravamo sei e altri sei erano i confratelli dalle diocesi dell’attuale Repubblica Ceca, dalla Boemia. Sei e sei. 

Di noi sei slovacchi, due sono già davanti al trono di Dio: uno, don Giovanni (Repassy), morto otto anni fa qui a Roma, l’altro, don Antonio (Paterek), deceduto in agosto di quest’anno in Brasile. Gli altri quattro, ecco, due sono presenti, un terzo sta in questa diocesi all’Istituto slovacco dei Santi Cirillo e Metodio, vicino a La Storta, don Stefano (Vrablec), e un quarto (Skoda), è rientrato in patria da due mesi perché la situazione è cambiata e ha potuto prendere il suo posto al servizio della sua diocesi d’origine dopo quaranta anni di vita sacerdotale vissuta all’estero. Il ventiquattro, la Vigilia di Natale, don Giuseppe ha detto la sua prima santa messa nella cappella dedicata ai santi Cirillo e Metodio nella basilica di San Clemente e se non mi sbaglio, non ho potuto controllare gli orari, ma se non mi sbaglio lui la disse alle sei e mezza del mattino perché io ero dopo di lui, sullo stesso altare, alle sette e mezza. Dei nostri parenti, non era presente nessuno. C’erano due colleghi che servivano, poi un “manoductor”, si chiamava così il sacerdote che ci assisteva per osservare che tutto andasse bene, che non sbagliassimo qualche cosa. Fedeli, nessuno. I genitori, in quelle circostanze, non potevano nemmeno sognare di venire all’estero e noi, benché inviati dal vescovo solo per alcuni anni per gli studi, siamo stati costretti a restare all’estero in Italia e i superiori hanno pensato di mandarci in alta Italia, la parte che è un po’ più vicina come mentalità al nostro paese d’origine. Così don Giuseppe è andato nella diocesi di 

Udine, dove ha esercitato i primi quattro anni del sacerdozio. Dopo, per varie vie che la provvidenza ha guidato, è arrivato in questa diocesi e qui vive, opera e, per quanto mi consta, con successo e soprattutto con un lavoro sacerdotale tutto dedicato al bene della Chiesa e delle anime. [...]. Ogni sacerdote quando celebra un giubileo di questa lunghezza è portato a guardarsi alle spalle e guardando a questi quaranta anni noi siamo felici con te don Giuseppe adorando la buona provvidenza che ti ha guidato, perché senza questa provvidenza, senza questa protezione del Signore, lo sappiamo bene tutti, non si potrebbe andare avanti in nessuno stato e tanto meno nel sacerdozio. Siamo qui con te per ringraziare il Signore di quello che ti ha dato, delle capacità, capacità organizzative, doni d’intelligenza e di cuore, ma soprattutto della grazia del sacerdozio che nelle tue mani è stato un talento non sotterrato ma ben trafficato, ben utilizzato. E tutto questo in circostanze particolari. Non sei un missionario ma vivi lontano dai tuoi. Ho accennato che alle nostre prime messe i nostri genitori non erano presenti. E se sommiamo tutte le messe di don Giuseppe alle quali potevano essere presenti i suoi genitori, non so... non so se si superano due o tre mesi. I genitori, per i quali il desiderio più grande della loro vita era proprio avere un figlio sacerdote, un altro ce l’avevano religioso, il quale, come religioso, ha subito i campi di concentramento, i lavori forzati, e non ha potuto vivere la vita religiosa fino ad oggi. Don Giuseppe lontano dai suoi, ha offerto a Dio la sua vita in questo clima, lontano dai suoi ma più libero per donarsi al Signore. Non voglio farne un panegirico ma questi sono i fatti e i fatti vanno ricordati. Ed è per questo che noi ringraziamo il Signore anche per questo sacrificio voluto dal suo sacerdote. Perché è questa la garanzia della fecondità della vita sacerdotale come in fondo di ogni vita vissuta con amore. La capacità di sacrificarsi per ciò che noi amiamo; la capacità di sacrificarsi per le anime, per la Chiesa, per i fedeli, rinunciando a tante cose senza piangerci sopra, ma offrendo tutto con gioia. Mi ricordo quando stavamo per stampare le immaginette di ricordo della prima messa e cercavamo le parole da mettere sull’immaginetta un po’ come il motto di tutta la vita. Allora don Giuseppe ha scelto le parole del profeta Davide quando stava per lasciare questa terra dopo uno dei tanti progetti che questo re ha attuato e dice: “Signore, ti offro la mia vita con semplicità, accetta questo dono”. Ecco, sacrificandosi per questo ideale, con questo amore, una vita può acquistare solo in valore. E qui siamo in mezzo a una comunità il giorno in cui festeggiamo la Santa Famiglia di Nazareth, con amore, con generosità, con gioia, pur sapendo qual è il valore di una famiglia, quali possono essere le gioie di una vita familiare.

Rinuncia per avere una famiglia un po’ più ampia, un po’ più grande e 

rinunciamo, lo ripeto, con gioia. Presentare il sacerdote, il quale dalla mattina alla sera non fa altro che rimpiangere di non essersi sposato è un’immagine falsa. [...]. Parlando con don Giuseppe mi disse che ci sono due vocazioni sacerdotali da questa parrocchia: don Paolo, già sacerdote e Marco, seminarista, che si sta preparando al sacerdozio. Però, direi, la parrocchia di Cerenova Costantica li ha donati alla diocesi di Roma come una goccia al mare. Alla presenza del vescovo diocesano vorrei sottolineare che la parrocchia può dare anche alla propria diocesi dei sacerdoti. Oggi ne sentiamo tutti la mancanza per la Chiesa. Ora io vorrei parlare soprattutto ai giovani presenti, spero, ai genitori presenti: avete mai pensato alla possibilità voi genitori di donare un figlio alla Chiesa? Al sacerdozio? Voi giovani, avete pensato di dare la vostra vita a disposizione del Signore e delle anime? Se non l’avete pensato oggi, pensateci..., pensateci. Non è una vita sciupata, anzi... anzi. È una vita spesa bene, una vita di grande lavoro. Dimostriamoci generosi col Signore perché è questa la ricchezza di una famiglia. Beato Eugenio de Mazenod, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata era figlio unico di una famiglia nobile francese. Quando ha annunciato ai suoi familiari che voleva farsi sacerdote allora uno di famiglia disse: “Ma... la nostra famiglia così morirà. Il cognome non sarà più perpetuato”. E la madre del beato disse: “Sarà la più bella fine di una famiglia la quale morirà con un sacerdote”. C’è da riflettere anche su questo. Anche se il figlio fosse unico, offerto a Dio non è perduto ma è tanto di guadagnato. E se tutto questo succedesse ancora durante l’ufficio di parroco di don Giuseppe, qui in mezzo a voi, sarebbe certamente il regalo più gradito e più bello che la parrocchia potesse dare al proprio pastore. E allora terminiamo con questo pensiero. Ringraziando il Signore di questa giornata, degli anni di sacerdozio che ha concesso a don Giuseppe, chiedendo il perdono anche delle eventuali manchevolezze, e chi non ne ha, ma soprattutto chiedendo al Signore l’aiuto per gli ulteriori anni di vita e di attività sacerdotale in mezzo a voi, per il bene vostro cari fedeli perché il sacerdote sta qui per questo. E poi dimostriamoci generosi col Signore, se vorrà da noi qualche sacrificio, se busserà al nostro cuore e ci domanderà questa offerta di cui abbiamo parlato. E offriamo queste preghiere a Dio Onnipotente per le mani di San Giuseppe, di Maria Vergine in questo giorno consacrato alla Sacra Famiglia, perché le virtù della Santa Famiglia di Nazareth assicurino a questa parrocchia l’approfondimento spirituale continuo, per il parroco tanta gioia e per tutta la Chiesa la crescita anche nelle vocazioni, la crescita nella consapevolezza dell’amore, nella certezza che soltanto attraverso amore vissuto generosamente noi possiamo valorizzare davvero la nostra esistenza. Sia lodato Gesù Cristo.

str. hrusovsky(\(\(SK)

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